Cover del libro La luce giusta di Antonio foti Luoghi d'Italia per una serie di racconti e un file altruistico e solidale. Il testo è legato ad un progetto di solidarietà
Passione scrittura

Sinossi “La luce giusta” di Antonio Foti

Come promesso ecco a voi la sinossi dei racconti di “La luce giusta”

Lasciatevi incuriosire da questa raccolta di racconti collegata ad un progetto molto importante!

Parliamo nuovamente di “La luce Giusta”

Il ciabattino di Ottiglio

E’un racconto ambientato ad Ottiglio, un ridente e grazioso centro rurale del basso Monferrato, dove sul finir del diciannovesimo secolo un notabile emergente tenta con intollerabile e cinica disinvoltura di prevaricare un umile artigiano che vive un’incontenibile ed insana passione per il canto e per la musica. Inizialmente l’artigiano subisce le pressioni, le suggestioni ed i condizionamenti del nobile pagando a proprie spese ed a caro prezzo le illusorie lusinghe della ricchezza e del potere. Ma in una fase successiva, rientrato in se stesso, l’artigiano ha la lucidità di dare spazio alla voce del cuore, riesce a riscattarsi dai propri errori e con la giusta determinazione respinge la cattiva influenza ed ingerenza del potente. In questo racconto, metafora e specchio realistico dei tempi moderni, il tema centrale del riscatto personale si sposa magistralmente con i valori dell’amicizia, della condivisione, della coerenza e della rettitudine che insieme inducono il protagonista, come voce corale della coscienza, a recuperare il rispetto e la dignità per se stesso ed a conferire alla propria storia personale e sociale un lieto fine. Sullo sfondo del racconto emerge, come una cornice d’effetto che risalta per il suo fascino e per la sua bellezza, l’importanza di evitare ogni forma di isolamento fisico e spirituale e la necessità di fare “rete” e “tessuto” contro ogni forma antica e moderna di prevaricazione.

Da Natalino : le buone e dolci cose di casa

Natalino Maggio è un giovane ragazzo di Treville, un piccolo borgo del Monferrato Casalese, che vive e subisce con grande impatto emotivo la sfortuna di perdere in tenera età entrambi i genitori. Viene affidato per molti anni alle cure di un Istituto religioso e per il suo carattere particolarmente timido ed introverso viene con troppo superficialità classificato come un “diverso”.

Nonostante il contesto e l’humus sfavorevole il giovane cerca di coltivare i suoi interessi e le sue passioni grazie al prezioso ed importante supporto di una coppia di anziani coniugi, che si prendono cura di lui offrendogli una seria opportunità lavorativa e circondandolo d’affetto e di mille attenzioni. Ma l’amore filiale degli anziani coniugi non è purtroppo sufficiente a scardinare le sue paure, i suoi timori, le incertezze e le insicurezze alimentate dagli spettri del passato, e soprattutto non riesce a fare da barriera ed a superare il pietismo e l’etichetta del diverso attribuita dai facili ed insulsi pregiudizi di una società piccolo-borghese. Sarà l’intensità dell’amore della sua donna e la passione per l’arte bianca a far crescere in Natalino l’interesse per la vita, l’intraprendenza, il coraggio e la giusta autostima che lo spingeranno verso l’autodeterminazione ed il successo personale. L’amore, l’arte, la famiglia, la solidarietà, la condivisione degli sforzi e degli obiettivi, il pensiero positivo camminano e si muovono insieme in questo racconto di pari passo come componenti speciali di una squadra vincente che consentono al protagonista la piena affermazione di sé e la ricostruzione attorno alla propria esperienza di un tessuto sociale più equo, più giusto e più solidale.

Musica in cerca d’autore

A Moleto, un caratteristico borgo rurale del Monferrato Casalese, un giovane pianista suona tutte le sere con grande estro, passione e talento artistico nel rigoroso anonimato della sua casa. La sua musica pervade e si diffonde dalle finestre del suo studio nelle strade del paese creando un’atmosfera mite, celestiale e fiabesca di rara suggestione e bellezza. Sono tanti i viandanti a beneficiare di questa musica che accende il buon umore e favorisce la serenità e la distensione. Ma soltanto pochissimi abitanti del borgo conoscono la vera identità del musicista, che per ragioni assolutamente misteriose e sconosciute intende mantenere un rigoroso anonimato su tutta la sua vita, sulle sue abitudini e soprattutto sulle sue performance musicali. Sorge a questo punto della storia spontanea la domanda, considerato il valore e la peculiarità del repertorio musicale offerto, di chi sia il misterioso pianista che anima le caratteristiche serate del borgo saraceno di Moleto ?

La notizia tiene banco per tanto tempo tra le curiosità, i vezzi, i pettegolezzi dei vari paesi del Monferrato, si diffonde come un eco lontano su numerose testate giornalistiche e suoi principali network della provincia di Alessandria. Tutto però sembra tacere, segnare il passo e perdersi nell’oblio del tempo se non per l’insistenza, la tenacia, la caparbietà e l’affetto di un amico che crea abilmente le condizioni per le quali il pianista decide volontariamente di uscire allo scoperto e di esibirsi in pubblico. I rapidi ed immediati riscontri positivi, il successo e la standing ovation che riceve dal pubblico segnerà per lui l’inizio di una nuova vita sociale ed artistica. Si tratta di un musicista non vedente dal carattere particolarmente introverso e riservato che non ama essere al centro dell’attenzione e che ha fatto della musica la sua unica e grande ragione di vita. La disabilità nel rapporto personale e nel confronto con gli altri è il tema centrale del racconto che si risolve positivamente nel caso specifico per il sostegno corale e per gli apprezzamenti spontaneamente espressi dalla piccola comunità di Moleto e da tante altre persone delle vicine comunità monferrine. Resta tuttavia in particolare evidenza il travaglio, il tormento e la sofferenza psicologica che il protagonista vive nella difficile ed incerta transizione verso la consapevolezza delle proprie capacità, verso il pensare positivo e l’acquisizione di una propria autostima. Ma è ancora la rete di solidarietà e di affetti della piccola comunità di Moleto a mettere in fuga l’isolamento, la solitudine, la sofferenza interiore, il pregiudizio e la notte dei pensieri e della ragione.

Il saluto del melograno

A Cisterna D’Asti, un suggestivo borgo rurale immerso nelle verdi colline del Roero, ai tempi del regno d’Italia la famiglia Martini garantiva con il proprio carro i piccoli trasporti di prodotti agricoli e derrate alimentari tra il paese, il suo entroterra e le principali città del basso Piemonte. Un lavoro lento, cadenzato, impegnativo e laborioso, troppo spesso avaro di soddisfazioni ed appena sufficiente a garantire la sussistenza del nucleo familiare. Carlo Martini, il pater familias sapeva tuttavia rapportarsi con la propria clientela, manteneva buoni rapporti con tutti e mostrava una sensibilità ed un apertura mentale decisamente fuori dal comune. Nonostante i tempi duri, incerti e difficili con il prezioso aiuto della sua consorte e delle sue due figlie riusciva a sbarcare il lunario, anche nelle stagioni invernali e particolarmente rigide, con grande impegno, dedizione e dignità. La sua preoccupazione più seria e ricorrente era invece il temperamento ed il comportamento del suo figlio Andrea, il cui pensiero fisso era diventato ormai per lui un cruccio costante che non gli dava pace. Di indole ribelle, particolarmente inquieto e poco incline alla disciplina Andrea manifestava fin dalla tenera età un intuito, un’ intelligenza, un coraggio, uno spirito d’iniziativa assolutamente unico e senza eguali nella famiglia, capacità che non finivano mai di sorprendere vicini e conoscenti nel paese. Ma proprio quando la distanza caratteriale ed emotiva tra il padre ed il figlio sembra accentuarsi in misura sempre più rilevante e le scarse opportunità di lavoro lo costringevano a vivere una vita diversa da quella che desiderava, Andrea si pose alla guida della sua famiglia con l’ambizioso obiettivo di garantire a tutti i componenti una migliore qualità di vita e delle migliori prospettive per l’attività di trasporto. Il suo intuito, la sua vivace creatività e lo spirito d’intraprendenza lo porteranno ad individuare tra il grigiore della vita di provincia di fine ottocento una strada assolutamente lecita, ma del tutto inconsueta, per produrre ricchezza e per risollevare le sorti delle sua famiglia. Ma anche nel momento del successo e della propria affermazione personale, Andrea dimostrerà di essere una persona speciale dal carattere brillante e lungimirante in grado di sapere fare in molte circostanze la differenza. Con le sue azioni studiate, mirate e ponderate da priorità a tutte le necessità ed incombenze della famiglia e contribuisce in misura determinante alla realizzazione del sogno tanto lungamente atteso e desiderato del padre. Una testimonianza forte, affascinante ed emotivamente struggente di quanto la condivisione della gioia, della fortuna, del benessere e dell’amore per la propria famiglia sia sempre l’anticamera della felicità.

Il dolce sapore della solidarietà

Nel paese di Mergozzo, sul lago Maggiore, la crisi economica rende opachi, svogliati e decisamente sottotono i preparativi per la festa di Santa Elisabetta, il santo patrono della piccola comunità lacustre. Il disagio sociale, le incertezze per il futuro, il clima di attesa e di generale insicurezza generano sconforto, isolamento ed attenuano la gioia, l’entusiasmo, il rispetto e l’interesse per la tradizione. Ma c’è chi in paese non si rassegna al corso degli eventi e non si lascia sopraffare dallo sconforto, dalla preoccupazione e dal generale clima di sfiducia e di incertezza per il futuro che pesa sulla piccola comunità lacustre come una cappa plumbea. Protagonista di questa nuova resistenza è’ un giovane fornaio che da anni partecipa attivamente al comitato dei festeggiamenti per la festa di Santa Elisabetta ed è noto a Mergozzo, oltre che per il suo impegno sociale, anche per i vari tentativi di migliorare e promuovere il dolce tipico del paese : la fugascina. Ma quando tutto sembra volgere verso un inarrestabile ed inesorabile declino e le opacità, le ombre della sfiducia sembrano prevalere sulla luce della speranza è proprio il giovane fornaio a dare il là per la riscossa della vita sociale e per riaccendere l’amore, l’interesse e l’entusiasmo per il proprio paese. In questa storia è il buon esempio, il coraggio e la rettitudine di una singola persona a fare la differenza rispetto a tanti proclami vuoti ed insignificanti, alle lamentele stucchevoli ed inconcludenti ed alle troppe buone intenzioni rimaste tali. A trainare e stimolare la rinascita sociale, economica e culturale del paese è solo l’azione temeraria e coinvolgente, il buon senso, la creatività e l’amore per la propria terra testimoniata dagli uomini più virtuosi e coraggiosi.

La luce giusta

E’ il cuore narrativo dell’intera raccolta e tocca nel percorso emotivo ed interiore dei personaggi i temi più rappresentativi della narrativa sociale contemporanea. La trama è ambientata in una splendida villa rurale toscana posta alla periferia del paese di San Casciano Val di pesa. E’ la storia di un’amicizia tra un pittore lombardo di mezza età alla ricerca di se stesso nel corso del viaggio dei ricordi della propria infanzia ed un giovane ragazzo disabile che vive la sua passione per la pittura con l’entusiasmo e la sana ambizione di emergere e di raggiungere risultati importanti. Torna in questo racconto il tema della disabilità nel senso più attivo, costruttivo e positivo del termine. Nell’incontro tra due mondi, due sensibilità e due generazioni diverse si realizza un affettuoso e proficuo interscambio di idee, valori ed esperienze che mutualmente arricchiscono entrambi iprotagonisti. Il rispetto, l’empatia e le attenzioni sincere del giovane artista disabile riempiono di nuovi stimoli e di nuove speranze l’animo del pittore lombardo fino a riaccendere la sua passione per l’arte e l’interesse generale per la vita. Il giovane artista riceve invece il sostegno, l’incoraggiamento e l’esperienza tecnica necessaria per realizzare il suo primo ed agognato sogno nel cassetto : la sua prima mostra personale. Nel reciproco interscambio di conoscenze ed esperienze vissute ciascuno dei protagonisti coglie “la luce giusta” per far crescere dentro di se, come il lievito madre che fermenta la farina, le motivazioni più importanti per la costruzione del proprio futuro. La stessa luce intesa come utile esempio, stimolo positivo ed esperienza costruttiva aiuta i due protagonisti a ridefinire delle nuove mete e degli ambiziosi obiettivi che riaccendono l’interesse per la vita ed una visione più positiva di se stessi. Ma si intravede la luce giusta anche quando si supera l’indifferenza, il pressapochismo, la superficialità dei luoghi comuni, il preconcetto ed il pregiudizio della diversità, quando si accorciano le distanze e si aiutano concretamente le persone disabili che spesso rivelano una ricchezza interiore, una forza d’animo e un amore per la vita contagioso e coinvolgente. Ciò che si riceve in tal caso è sempre molto di più e di grande valore affettivo di quanto si dona moralmente e materialmente.

Un tramonto di Settembre

E’una storia vera come tante che si leggono con preoccupante ed intollerabile frequenza su vari giornali locali e nazionali. Fa parte di quelle notizie che occupano sui media lo spazio della cronaca, in piccole o medie dimensioni, ma alle quali non si dà più particolare risalto se non per la notorietà del personaggio coinvolto. Un evento che è entrato stabilmente nella casistica dell’Istat, che non crea più audience sui principali mezzi di comunicazione di massa ed al quale ci siamo troppo tristemente abituati. Il racconto è narrato in prima persona con tutta l’attenzione ed il coinvolgimento emotivo di chi ha vissuto a bordo di un treno la triste fine di un giovane che ha deciso di fermare tragicamente la propria vita su un binario della linea Mortara – Alessandria al tramonto di una bella giornata di settembre. Il vissuto dei viaggiatori, del personale del treno e di tutte le persone che entrano in relazione nell’evento fanno da sfondo, come immagini sbiadite in bianco nero di un vecchio film di repertorio, al disagio psichico, alla depressione, al vuoto interiore, alla perdita di riferimenti che caratterizza sempre di più l’attuale condizione giovanile. Un evento rappresentativo di un malessere sociale sempre più profondo che genera isolamento e sconforto ed accentua il senso di inadeguatezza delle persone più fragili, più insicure e prive di qualificato supporto psicologico. Ma nel sovrapporsi rapido e confuso del pathos, dei pensieri, delle paure, delle tensioni e delle immagini della tragedia appena consumata emerge con particolare evidenza il disagio, il dolore e la disperazione di chi deve farsi carico, con maggiore o minore coinvolgimento emotivo, di tale drammatica situazione. Nel confuso, caotico e controverso vortice di sensazioni che si generano spontaneamente nell’evento c’è chi non perde la lucidità ed il buon senso di pensare, al di là delle proprie questioni private, alla giovane vita spezzata ed al dolore dei suoi familiari. Il valore sociale di una giovane vita persa per sempre è incalcolabile e spinge gli osservatori più attenti a dare più senso e più valore alla propria esistenza ed alla propria quotidianità.

Briciole d’amore

A Suzzara, un paese della bassa pianura mantovana, una giovane mamma da alla luce dopo una sofferta e travagliata gravidanza il suo terzo figlio. Tra la gioia dei familiari e degli amici si nascondono come in un paravento i segnali purtroppo sempre più chiari ed inequivocabili di un male oscuro. Nella fase iniziale nessuno ha il coraggio di dare un nome alla sindrome che ha colpito la giovane donna. Ma il male è talmente acuto, insidioso e persistente da provocare sul piano psicologico l’auto isolamento ed un senso di grave inadeguatezza alla giovane madre dal quale non riesce a liberarsi. Tutto sembra convergere verso il silenzio asettico, freddo e pungente della solitudine, dell’oblio del tempo, dell’oppressione del dolore e della paura come se la sofferenza di una madre e della sua famiglia fosse una questione esclusivamente privata. Ma è proprio la sensibilità ed il coraggio delle due figlie a fare la differenza nell’affrontare il male ed a sostenere la madre con tutta la forza e la determinazione che solo l’amore filiale può dare. E’ la storia sofferta di come una famiglia affronta e supera la depressione post partum che colpisce una giovane madre all’interno della piccola e povera vita di provincia. Ed è una storia tutta al femminile nella quale le due giovani adolescenti, ciascuna nel proprio ruolo e con le proprie sfumature caratteriali e motivazionali, segnano il riscatto dalla paura del male oscuro ed affrontano con l’entusiasmo della propria gioventù tutte le difficoltà quotidiane che si presentano. E’ tale la capacità e l’intraprendenza delle giovani figlie nel creare le migliori condizioni di assistenza e di sostegno che la propria madre, protetta da un’ efficiente rete di solidarietà familiare, riacquista la fiducia in se stessa e la voglia di lottare per riprendersi con coraggio la sua vita. Il male invisibile non è più oscuro e non fa più paura neanche ai familiari dal carattere più fragile ed insicuro perché l’amore per i propri figli è sempre più forte di ogni subdolo ed arcano malessere.

La classe non è acqua

A Senigallia, un rinomato centro balneare del litorale marchigiano, un giovane aiutante cuoco a ridosso dell’estate è alla ricerca della sua prima importante esperienza di lavoro. Con un po’ di spirito d’iniziativa ed un pizzico di fortuna ottiene un contratto stagionale nella cucina di un noto ristorante del centro storico “il Leon d’oro”. Nell’ambito delle attività culinarie resta assolutamente colpito dal carisma e dalla professionalità dello chef che in poche settimane di attività gli trasmette uno stile, un modus operandi e delle competenze di grande rilievo tecnico ed artistico. Si crea un ambiente di lavoro disteso e costruttivo fatto di mutua e reciproca collaborazione, di serietà e rigore professionale, di simpatia ed empatia caratteriale. I proprietari del ristorante non hanno invece un’adeguata apertura mentale per comprendere e valorizzare tutte le innovazioni e gli opportuni suggerimenti proposti dallo chef e cercano di limitare la sua autonomia con modalità assolutamente stucchevoli e superficiali. Ma lo chef è un artista di grande spessore umano e professionale e non si lascia né intimorire e né condizionare dalla grettezza e povertà culturale dei proprietari. Le sue

origini partenopee lo aiutano a dare il giusto peso alla complessità delle relazioni e a ridurre le tensioni con un uso intelligente del senso dell’umorismo e dell’ironia. Con l’abilità e le capacità degli uomini dotati di carisma e spirito d’intraprendenza crea le migliori condizioni per incrementare il lavoro e per far crescere la notorietà del locale. Il successo giunge come un caldo ed impetuoso vento di scirocco sotto gli occhi ignari, increduli ed impreparati dei proprietari. Il flusso dei clienti cresce progressivamente fino a creare serie problematiche di carattere organizzativo ed è soltanto il carisma, l’esperienza professionale e la leadership dello chef, riconosciuta da tutto il personale del locale, a mettere ordine tra le varie priorità ed a garantire l’efficienza e la funzionalità del Leon d’oro. Ma c’è chi nella concorrenza prova un’ invidia ed una gelosia atavica ed irrazionale per l’abilità dello chef e si attiva, con modalità molto discutibili, per mettere zizzania e per creare confusione e scompiglio nel locale. La risposta dello chef sarà esemplare e decreterà con particolare enfasi la sua superiorità morale, culturale e professionale. Ma il cielo non sta a guardare indifferente e lo chef, la cui integrità morale ed onestà intellettuale da sempre socialmente lo contraddistinguono, viene premiato con una nuova ed importante occasione lavorativa nel pieno rispetto delle regole del contrappasso dantesco. Dall’esperienza lavorativa maturata nel sacrificio, nell’impegno quotidiano, nel pieno rispetto delle regole e dei ruoli nasce anche per tutto lo staff del ristorante un importante possibilità di migliorare il proprio rapporto di lavoro che riaccende in tutti la speranza e l’ottimismo per il futuro.

Un luogo,un dono,una storia

E’ una storia tutta partenopea nella sua ambientazione, nella sua filosofia e nei suoi contenuti. Un
gruppo di buoni amici s’incontrano nella coltre verde del Parco Virgiliano, un luogo ameno e di superba bellezza dove il golfo di Napoli e quello di Pozzuoli s’incontrano per dialogare e condividere vedute, paesaggi, brezze e profumi. Gli amici portano con sè come in un moderno convivio del buon vino e del buon cibo con l’ambizioso obiettivo di condividere pienamente la comunione di amorosi sensi che si crea dall’incontro tra i componenti più tipici, genuini ed essenziali della tavola. Il convivio che si crea richiama piacevolmente alla mente i ricordi più belli di un antica amicizia che si rinnova con entusiasmo, di anno in anno, con sentita emozione e partecipazione. Ma l’incontro non si limita ad essere una rimpatriata ed una rievocazione nostalgica dell’antica e nobile amicizia ma vuole essere soprattutto l’occasione per condividere la gioia e la serenità della buona tavola con chi è meno fortunato e con chi ha più necessità e bisogno di compagnia. E’ nel contesto della solidarietà semplice, concreta e più autentica che il convivio trova la sua principale ragion d’essere soprattutto nell’ottica di valorizzare l’appartenenza ad una terra che ha fatto dell’ospitalità e dell’accoglienza una millenaria tradizione storico-culturale. Il brindisi finale rivela con il suo intimo e religioso rituale tutta l’essenza ed il valore umano del vino veritas affinché resti impresso nell’animo dei partecipanti, come un nuovo ed attuale modus operandi e vivendi, l’impegno ed il dovere di tutti a proseguire insieme il cammino dell’amicizia. Senza però mai dimenticare che il rispetto della tradizione e della madre terra, che con generosità ci dona tutta se stessa e sempre sa accoglierci con amore.

Da mio fratello

Nel popolare quartiere di Montesanto, nel cuore del centro storico di Napoli opera con particolare zelo ed impegno al civico 21 dei Gradini di San Liborio, presso la premiata pizzeria “Da mio fratello”, il fornaio Giuseppe Ricciardi. La sua nota e più che rinomata esperienza nel mondo dell’arte bianca fanno la fortuna del titolare dell’attività, il commendatore Loffredo,che pur riconoscendo la professionalità del suo dipendente, non condivide per avidità di guadagno, i suoi slanci di solidarietà verso le classi più deboli e meno agiate. La generosità e la disponibilità del pizzaiolo fanno da sfondo ai bisogni reali di tante persone del quartiere che vedono in lui una persona buona, retta e timorata di Dio. Le nobili azioni del pizzaiolo colpiscono l’attenzione del medico condotto, che nella discrezione del proprio ambiente privato gli propone la creazione di un prodotto da forno a basso costo che possa sfamare le persone più povere ed in particolari condizioni di necessità. Ricciardi raccoglie con impegno e tenacia la sfida contro la miseria e la povertà che come bestie nere ed affamate si muovono per le strade del suo quartiere in cerca di prede da sbranare. Queste tristi condizioni sociali gli ricordano momenti oscuri e controversi della propria storia familiare e gli danno la forza per ricercare senza sosta e senza mai risparmiarsi una soluzione, seppure parziale e limitata al problema. La dea bendata premia la buona volontà, l’impegno e soprattutto l’audacia del Ricciardi, che riesce a creare un prodotto la cui fama e bontà sfida il tempo e la storia stessa della sua città. L’amore per la vita, lo spirito positivo e solidale del Ricciardi viene premiato dai risultati ottenuti e per il tanto bene erogato con straordinaria e disinteressata generosità ottiene la gratitudine e la riconoscenza del cielo.

 

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