Proviamo a commentare insieme una novella scritta da Giovanni Verga nel lontano 1877
L’avete letto? Cosa ne pensate?
Vorrei soffermarmi con voi su alcuni passaggi.
Partiamo dalle prime righe:
Allorché Paolo era arrivato a Milano colla sua musica sotto il braccio – in quel tempo in cui il sole splendeva per lui tutti i giorni, e tutte le donne erano belle – avea incontrato la Principessa: le ragazze del magazzino le davano quel titolo perché aveva un visetto gentile e le mani delicate; ma soprattutto perch’era superbiosetta, e la sera, quando le sue compagne irrompevano in Galleria come uno stormo di passere, ella preferiva andarsene tutta sola, impettita sotto la sua sciarpetta bianca, sino a Porta Garibaldi. Così s’erano incontrati con Paolo, mentre egli girandolava, masticando pensieri musicali, e sogni di giovinezza e di gloria – una di quelle sere beate in cui si sentiva tanto più leggiero per salire verso le nuvole e le stelle, quanto meno gli pesavano lo stomaco e il borsellino -. Gli piacque di seguire le larve gioconde che aveva in mente in quella graziosa personcina, la quale andava svelta dinanzi a lui, tirando in su il vestitino grigio quand’era costretta a scendere dal marciapiedi sulla punta dei suoi stivalini un po’ infangati. In quel modo istesso la rivide due o tre volte, e finirono per trovarsi accanto. Ella scoppiò a ridere alle prime parole di lui; rideva sempre tutte le volte che lo incontrava, e tirava di lungo.
L’autore entra subito nel vivo, Paolo il protagonista, appena giunto a Milano rimane affascinato da una fanciulla, una meta apparentemente irraggiungibile. Il giovane tuttavia trova il coraggio di avvicinarsi e parlarle e inaspettatamente anche se lei “tirava lungo” non dimostrava totale indifferenza ” rideva sempre tutte le volte che lo incontrava”
Proseguendo con la lettura Paolo e “la principessa” come viene denominata la ragazza hanno modo di conoscersi meglio, di scoprire pregi e difetti e di costruire un legame solido.
Passarono l’inverno e l’estate in tal modo, giocando all’amore come dei bimbi giocano alla guerra o alla processione. Ella non accordavagli nulla più di codesto, e l’innamorato si sentiva troppo povero per osare di chieder altro. Eppure ella gli voleva proprio bene; ma aveva troppo pianto, per via di quell’altro, ed ora credeva aver messo giudizio.
Apprezzo molto la capacità dell’autore di trasmettere questo legame che a noi può apparire un po’ lontano, anche perché i fatti si svolgono in un contesto storico ormai lontano.
Entrambi sanno che il loro legame non sarebbe durato in eterno ma preferiscono non pensarci e godersi la compagnia reciproca. Paolo, infine dovrà abbandonare Milano e “la principessa” e con la consueta malinconia l’autore ci racconta lo struggimento del poi …
E tu, povero grande artista da birreria, va a strascinare la tua catena; va a vestirti meglio e a mangiare tutti i giorni; va ad ubbriacare i tuoi sogni di una volta fra il fumo delle pipe e del gin, nei lontani paesi dove nessuno ti conosce e nessuno ti vuol bene; va a dimenticare la Principessa fra le altre principesse di laggiù, quando i danari raccolti alla porta del caffè avranno scacciato la melanconica immagine dell’ultimo addio scambiato là, in quella triste sala d’aspetto. E poi, quando tornerai, non più giovane, né povero, né sciocco, né entusiasta, né visionario come allora, e incontrerai la Principessa, non le parlare del bel tempo passato, di quel riso, di quelle lagrime, ché anche ella si è ingrassata, non si veste più a credenza al Cordusio, e non ti comprenderebbe più. E ciò è ancora più triste – qualchevolta.
E voi cosa ne pensate? Vi è piaciuta o no? Perché?